IL PRETORE Nella causa in decisione il ricorrente ha chiesto la condanna dell'I.N.P.S., oltre che alla corresponsione dell'assegno d'invalidita' e dei ratei arretrati, anche al pagamento d'interessi legali e rivalutazione intervenuti sui ratei arretrati dalla data della maturazione al saldo. Ai fini del computo degli accessori richiesti deve essere applicata pertanto la norma contenuta nell'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, che appare tuttavia viziata d'incostituzionalita'. In virtu' di tale norma, gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda; e l'importo di tali interessi e' portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156/1991, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 442 del c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronunci condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza ed assistenza sociale, debba determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione di valore del suo credito. Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha dunque equiparato, sotto il profilo quantitativo, il risarcimento dei danni da ritardo nell'adempimento di crediti previdenziali a quello spettante per il tardato adempimento di crediti di lavoro. La Corte non ha mancato di sottolineare l'assimilabilita' di queste categorie di crediti, perche' i crediti previdenziali costituiscono una integrazione di un reddito di lavoro cessato o ridotto a causa di eventi previsti dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Nella pronuncia ora richiamata la Corte ha preso come termine di riferimento la statuizione contenuta nell'art. 429 del c.p.c., nel senso in cui esso e' stato interpretato dalla giurisprudenza consolidata, ossia nel senso che il credito di lavoro, giunto a maturazione, attribuisce automaticamente il diritto agli interessi legali sull'importo rivalutato del credito, fino a che intervenga il pagamento. Della correttezza di siffatta interpretazione si potrebbe, per la verita', dubitare, in quanto, in particolare dopo l'avvento della legge 26 novembre 1990, n. 353, che, all'art. 1, ha fissato nel 10% il tasso d'interesse legale, essa attribuisce al titolare di crediti di lavoro, una posizione del tutto privilegiata, in quanto questi, potendo sommare interessi e rivalutazione, raggiunge un tasso di produttivita' del capitale a lui spettante, ben superiore a quello riconosciuto al creditore comune dall'art. 1224 del c.c., e ben superiore anche ad ogni investimento finanziario, con un'evidente disparita' di trattamento, questa volta in favore del titolare di un credito di lavoro. Comunque, se, recependo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, il principio da cui ci si deve muovere e' quello per cui i crediti del lavoratore attribuiscono automaticamente, in caso di tardato pagamento, il diritto a interessi e rivalutazione, le statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991, comportano la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'dell'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Infatti con questo articolo si reintroduce una disparita' di trattamento del credito "previdenziale" rispetto al credito retributivo di lavoro. La norma in questione limita il risarcimento del danno subi'to dal titolare di credito previdenziale, a causa del ritardo nell'adempimento da parte degli enti di previdenza, alla corresponsione degli interessi legali sulle prestazioni dovute; o, in alternativa, al maggiore importo calcolato sulla base della diminuzione del valore del credito per intervenuta svalutazione monetaria: ma in nessun caso al maggiore danno da svalutazione si sommano gli interessi legali, come invece avviene per i crediti di lavoro in virtu' del precitato art. 429, terzo comma, del c.p.c. In relazione all'art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991 si possono rinvenire percio' gli stessi profili di incostituzionalita' gia' rilevati dalla Corte costituzionale per l'art. 442, secondo comma, del c.p.c., e quindi di contrarieta' agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, per gli stessi motivi elencati nella sentenza n. 156/1991. Si ritiene inoltre di dovere sottolineare che l'art. 16 della legge n. 412/1991 (qualora si dovesse interpretare letteralmente) op- era una ulteriore discriminazione tra forme di "previdenza" e forme di "assistenza" previdenziale, ricomprendendo nel proprio enunciato esclusivamente le forme di previdenza, e percio' riservando solo a queste la sopradetta limitazione quantitativa del danno risarcibile, avendo sempre come punto di riferimento i crediti di lavoro. Anche sotto questo aspetto percio', appaiono non manifestamente infondate le censure di incostituzionalita' che si muovono contro l'art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991 rispetto ai citati articoli della Carta fondamentale.